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Sunà da mars

09/11/18

La tradizione del "Sunà da mars" (letteralmente "Suonare di marzo"), è molto antica e si rifà ad un misto di religiosità e cultura pagana, miscelate con sagacia dall'arguzia contadina.

Lo spirito della tradizione intendeva infatti essere rito propiziatorio per la ricrescita dell'erba dopo la pausa invernale e, se si considera quanto fosse importante per un'economia basata sulla
pastorizia questo alimento, è facile intuire come tutto il cerimoniale si legasse a qualche rito ancestrale, tramandato da generazione in generazione.

Ma cosa avveniva esattamente durante gli ultimi tre giorni del mese di febbraio di ogni anno?

Alcuni anni fa, e ve ne è traccia nella memoria di molti aprichesi, frotte di ragazzi percorrevano le vie del paese spostandosi di contrada in contrada e, al suono di campanacci e corni, girovagavano lungo i prati ancora coperti di neve.

Ogni contrada avocava a sé il diritto di avere competenza sul proprio territorio, ma non disdegnava puntate nelle “proprietà” di quelle vicine.

Questo fatto, a causa dell'esuberanza giovanile, spesso degenerava in furiosi litigi tra gruppi diversi che si vantavano
vicendevolmente di avere il merito per la futura e prosperosa crescita dell'erba in quella zona.

Per l'occasione ogni famiglia metteva a disposizione "strumenti musicali" particolari e facilmente reperibili: i campanacci che in estate venivano legati al collo delle mucche sulle malghe d'alta montagna e i corni, ricavati dalle corna dei caproni.

Sugli strumenti "musicali" utilizzati è tuttavia necessario dare ulteriori notizie e tratteremo questo argomento più avanti.
Ciò che avveniva non si limitava tuttavia al solo e festoso girovagare dei gruppi di ragazzi, alla fine dei tre giorni veniva consumato il "mach", parola di cui non si conosce l'origine (con
molta fantasia si può pensare al tedesco “Macht”, che significa potenza, forza, potere), che consisteva in pizzoccheri o polenta.

Questo cibo, preparato in ogni contrada, era frutto delle donazioni di varie famiglie: la legna, il burro, la farina e quant'altro occorreva venivano raccolte per poi essere consumate da tutti i contradaioli.

Agli anziani, agli infermi ed ai più piccoli, che non potevano partecipare al banchetto comune, il cibo veniva portato direttamente nelle abitazioni.

La preparazione del "mach" era delegata ad alcuni personaggi (i "macanchì") che avevano a capo un personaggio carismatico.

Probabilmente tutto questo serviva a cementare i rapporti tra le persone ed a unire i nuclei famigliari che abitavano le singole frazioni.

L’aiuto tra vicini, soprattutto in occasione dei lavori agricoli, era consuetudine assai radicata.

Non si poteva comunque dar corso alla tradizione se nella contrada si fosse verificato un lutto: era necessario avere il preventivo assenso della famiglia interessata che, salvo rarissime occasioni, era regolarmente concesso.

Tornando agli strumenti musicali utilizzati bisogna affermare che pur trattandosi di mezzi anomali e normalmente usati nella vita quotidiana, erano spesso di gran
valore sia commerciale che affettivo. I campanacci si dividevano in tre categorie: "bronzi", "ciochi" e "placc", ma non è possibile la traduzione dal linguaggio dialettale.

I "bronzi" erano i campanacci più preziosi, ricavati da un'unica colata composta da una lega di diversi metalli in cui predominava il bronzo.

Alcuni, con la data incisa e con vari stemmi, erano tramandati come patrimonio di famiglia e custoditi gelosamente.

Di medie dimensioni producevano un suono molto simile ad un tintinnio marcato e prolungato.

I "placc", così chiamati a causa della forma appiattita, si riconoscevano per il suono secco e breve, erano i più usati quando il bestiame pascolava sugli alpeggi d'alta quota e durante i trasferimenti da una zona all'altra.

Ma i più grandi campanacci in assoluto erano i "ciucù" (i "ciochi" si dividevano in "ciucù"  "ciuchì"), dalle dimensioni a volte enormi e forma arrotondata.

Molto pesanti, erano utilizzati solamente per i trasferimenti e ai mercati o mostre di bestiame.

Venivano messi al collo della bestia più bella. Il suono prodotto era lugubre e breve.

Spesso si riconoscevano le mucche di una famiglia proprio dal suono dei campanacci anche senza vederle.

A questi si aggiungevano i "corni", antichi strumenti musicali utilizzati per segnalazioni un po' ovunque.

Tutti questi attrezzi si usavano in vari modi, ma preferibilmente erano squadre composte da diversi elementi,  con campanacci dello stesso tipo, a produrre suoni ritmici, spostando in continuazione gli "strumenti" con le cosce, mentre si camminava, a destra e sinistra.

Era un esercizio fisico che richiedeva molta forza e per questo motivo i delegati al "Sunà da mars" erano in prevalenza i giovani delle varie contrade.

La tradizione da alcuni anni è tornata prepotentemente alla ribalta e si cerca di renderla ogni anno più simile alle origini.

Sicuramente è stata adeguata ad esigenze di tipo turistico, ma nella sostanza non ne è mutato lo spirito.
Lo svolgimento della manifestazione è previsto negli ultimi giorni del mese di febbraio con il coinvolgimento di numerosissime persone chiamate, per una volta, ad effettuare un ritorno al
passato.
Da alcuni anni è stato introdotto il rito della benedizione degli ingredienti del “mach” e del passaggio del campanaccio simbolo del Sunà da mars da una contrada all’altra.
La contrada in possesso di questo campanaccio apre il corteo finale che, la sera dell’ultimo giorno del mese di febbraio, dalla sede del Municipio di Aprica percorre il tratto finale verso il luogo in cui è preparato e distribuito gratuitamente il “mach”.
Le contrade seguono percorsi diversi prima di giungere a piazza Palabione, ed i vari cortei annoverano tra i partecipanti gente in costume, gruppi folcloristici e turisti.

 

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