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Ciamà l'erba

09/11/18

Marzo si apre con una tradizione ben diffusa in tutta la Valtellina e la Valchiavenna: ai primi di marzo i bambini festanti percorrono i prati e producono gran rumore con i campanacci per risvegliare l'erba ed invitarla a ricrescere dopo il lungo torpore invernale. Si tratta del rito del "ciamà l'erba".

Sempre più paesi oggi aderiscono a questa iniziativa, per ricordare e rispolverare le vecchie tradizioni di una volta

"Marzo... è la festa dei prati, dove l'erba verdeggia molle e tenera per aderire all'invito dei ragazzi che l'hanno chiamata a calendi marzo, con un concerto di rustici strumenti e grida di giubilo. Gli eroi di questa festa gentile si chiamano i “marziröi” e, siccome tutti i salmi finiscono in gloria, anch'essi concludono l'impresa col fermarsi nelle case a chiedere qualcosa per far merenda, cantando:
Marsin, marsèt incinem ul me sakèt
Se i ve car i vos fiöi fek dul bee ai marziröi. (Sostila)
"

Emilio Visconti Venosta: «Nei primi giorni di marzo sogliono i fanciulli girare per le campagne scuotendo campanelle quasi in atto di risvegliare la natura dal suo letargo, e chiamarla a nuova vita».


Èrba fóra che l’é maarz. Tipica tradizione del mondo contadino presente in forme diverse in molti parti d'Europa fin dall'antichità. La primavera si avvicina; la terra è invitata a destarsi dal lungo letargo invernale, a germogliare. I ragazzi giravano per i prati e le vigne ai primi di marzo, agitando campanacci e facendo rumore con gli oggetti più vari. "Èrba föra che l’é maarz", gridavano ("cresci, erba, che è marzo"). La tradizione, nota anche con il nome "Calemaarz" (o "bu marz" a Codera) è stata ripresa dalle scuole elementari.”

Ad Ardenno la sera del primo marzo i giovani passavano di casa in casa, chiamavano all'uscio le famiglie e recitavano questa filastrocca: "pesta, pesta mazarö, se i ve cari i vos fiö, se i ve miga car metìi gió en del barchèt, ma impienìm el me sachet", cioè "pesta pesta marzirolo, se vi sono cari i vostri bambini, se non vi sono cari metteteli in una barchetta, ma riempitemi il sacchetto". Ricevevano un po' di burro, formaggio e farina gialla, che servivano per una festa danzante conclusiva.


"Così al primo di marzo, alle avvisaglie della primavera, i bambini (erano di solito solo i maschi) andavano nei prati a «chiamare l'erba», pronunciando formule che variavano a seconda delle località, con grandi suoni di campanacci. Ricevevano in cambio farina gialla, burro e formaggio, che costituivano gli ingredienti per una polenta taragna che veniva consumata, tutti insieme, presso una famiglia prescelta. La farina avanzata veniva venduta e il ricavato pagava una Messa di suffragio per i defunti"

Maura Cavallero

Da Giovanni Giorgetta, Stefano Ghiggi (con profilo del dialetto di Remo Bracchi), "Vocabolario del Dialetto di Villa di Chiavenna", IDEVV (Istituto di Dialettologia e di Etnografia Valtellinese e Valchiavennasca"), Sondrio, 2010:
"Calènd(a)màarz sm. primo giorno di marzo, durante il quale i bambini vanno i prati a suonare í campanacci per risvegliare la natura. Il lemma è più probabilmente usato oltre confine e corrispondente localmente a l'erbäföiiä"
E ancora:
"Erbaföiiä, sf. nell'espr. Sunà l’erbaföiiä, usanza praticata il primo giorno di marzo quando i bambini scorazzano per prati e vigne suonando i campanacci per risvegliare la natura e recitando la filastrocca de marz o d'avrii l’erbaföiiä l’ha da ni, ni sü in t al me pràa, che al me pa l’ha da rssegàa, la me mam l'ha da rašpàa e l me fradèl l l'ha da portàa, o di marzo o di aprile e la foglia deve venire, deve venire sul prato, che mio padre deve falciare, la mamma deve rastrellare, e mio fratello portarla [nel fienile] I anche calend(a)marz, calént de marz."

Ecco, infine, alcuni passi da “La contea di Bormio – Vol. III – Le tradizioni popolari”, di Tullio Urangia Tazzoli (Anonima Bolis Bergamo, 1935):
Il 1° marzo il Capo o Capitano della Gioventù (figure che abbiamo già ricordato nelle feste carnevalesche e nuziali) vestito bizzarramente col viso dipinto e con un originale copricapo in compagnia di altri giovani similmente truccati fa il giro del paese per riporre i doni di tutte le massaie offerti generosamente e riposti sugli appositi cesti al seguito. Il frastuono durante la passeggiata per la raccolta delle offerte è assordante e ricorda il tintinnìo dei campani delle grandi mandre in montagna. Ad esso partecipano tutti i bambini dai tre anni in su ed anche scapoli che hanno oltrepassata la cinquantina!
Dura il baccanale due giorni. Alle ore 19 si cena a base di fritelle, li manzóla, gustosissime. La prima sera al banchetto prendono parte solo i giovani ; nella seconda sera i giovani
invitano la propria fidanzata, chi non l'ha se la sceglie : si cena, si canta, si balla sino all'alba. Ogni quattr'anni le giovani sostituiscono i giovani come parti principali della festa e, naturalmente, sono esse che invitano i loro fidanzati. Del rito pastorale non è rimasto come insegna che la grossa zampogna che è portata a tracolla dai baccanti per le vie del paese. Così con la primavera trionfa nel riconoscimento ufficiale dei fidanzati il rito d'amore!


Ritroviamo in altri paesi e regioni finitime al Bormiese usanze e riti consimili o speciali col ritornare della primavera nelle vallate alpine. Ritornano le manifestazioni di gioia coi falò (che ricordano e ripetonsi in alcune valli a fine d'anno, all'Epifania ed in Carnevale) e si rinnovano, quasi ovunque, i vari riti d'amore. I riti religiosi si uniscono a questo battesimo della "rinnovata primavera„ nel Bormiese con la festa solenne, nel maggio, della Santissima Croce venerata nella chiesa del S. Crocifisso in Combo e sancita dagli Statuti.”

Fonte: Paesi di Valtellina

 

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