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ANTICHI MESTIERI UL SCARPULII: IL CALZOLAIO

In inverno, quando l’attività agricola era sospesa, nelle stagioni morte, nei giorni di pioggia o quando la necessità lo richiedeva, e la campagna lo permetteva, alcuni contadini abbandonavano i più tradizionali strumenti di lavoro, falce e zappa e, per arrotondare le misere entrate “della terra”, si sedevano ad aggiustare scarpe.
“Il mestiere”, lo imparava andando “a bottega” da un calzolaio esperto. L’apprendistato durava due inverni. In questo periodo“guadagnava” solo l’esperienza: non veniva retribuito.
Le scarpe nuove erano un lusso raro, poiché ne possedevano un unico paio venivano mantenute “in vita” per lungo tempo a forza di risolature, di ricuciture e di rattoppi d’ogni genere che interessavano suola e tomaia.
Mancando la possibilità economica di cambiare modello ogni qualvolta la stagione lo richiedeva, la gente si trovava costretta a ricorrere a questo “professionista” per le riparazioni necessarie.
Il contadino, in casi molto rari, comprava nella calzoleria di città le scarpe “della festa”, più leggere e più fini rispetto ai pesanti scarponi, mentre quelle da lavoro, o da portare nei giorni feriali, venivano confezionate dal calzolaio del paese.
Una volta l’anno, o quando la famiglia aveva bisogno dell’tervento del ciabattino, lo “comandava" a casa propria.
Arrivava di buon’ora e si metteva accanto al focolare. A protezione dei poveri vestiti, indossava un grembiule con la pettorina di colore blu.
Se doveva eseguire un paio di scarpe nuove prendeva, con precisione, le misure e le riportava su cartone da dove ritagliava tomaie e suole.
La confezione di un paio di scarpe, a seconda se le doveva calzare una donna, un uomo o un bambino, richiedeva sette od otto ore di lavoro.
Nelle scarpe confezionate per i bambini non c’era distinzione tra destra e sinistra, perciò risultavano intercambiabili da un piede all’altro: erano dette le scarpe a ricia e sinistra.
Lo pagavano “a giornata” compreso il vitto: “menù” principalmente a base di polenta.
L’attrezzatura era custodita gelosamente in una cassetta di legno.
Attrezzatura: tripèe , lésna , puntiròl , tenaglia tanaaia, martello martél, pinza, modelli in legno delle scarpe formi, sedula .
Materiale: cioot da tac , piccoli chiodi ciudii, stèc dé lèegn , azzalini , zapèti , pèegula , spago spaach, curam e la vachéta . Era il capofamiglia stesso che si riforniva di cuoio dai negozianti di Sondrio.
Un’altra calzatura tipica del passato, confezionata però non dal calzolaio ma dallo stesso contadino, era il caratteristico coosp .
In Val Malenco utilizzavano pezzi di stoffa di cappelli rotti o qualsiasi altro cencio per ottenere le pantofole pédüf: non buttavano via niente.

tripèe:strumento di ferro che riproduceva la forma di una suola grande, una piccola, e del tacco. Su attrezzo veniva battuto il cuoio allo scopo di renderlo duro quindi più resistente. Chi non aveva il tripee batteva il cuoio su un sasso arrotondato e ben levigato preso nell’Adda.
lèsna: ferro piatto ricurvo, con punta e manico di legno. Serviva per fare i buchi nel cuoio
punteròl: punteruolo di ferro appuntito con manico di legno. Serviva per fare i buchi.
sedula: pelo di maiale che fungeva da ago.
cioot da tac: chiodi con la capocchia quadrata da posizionare nel tacco.
stèc dé lèegn: chiodini di legno da alternare con quelli in ferro, allo scopo di alleggerire la scarpa.
azzalini: chiodi con la capocchia arrotondata da sistemare sotto nella metà anteriore della suola
zapèti: chiodi ripiegati ad uncino da fissare sul bordo esterno. Rinforzavano la suola, ma la rendevano molto più pesante.
pèegula:pece, sostanza ottenuta dal catrame di legno. Prima dell’uso si ammorbidiva con il calore. Aveva una duplice funzione: unire la sèedula allo spago e lubrificare quest’ultimo allo scopo di farlo penetrare più facilmente nei buchi.
curam: cuoio si otteneva dalla concia della parte più spessa della pelle di mucca.
vachéta: parte più morbida della pelle di mucca.
coosp:Si ottenevano “riciclando” una vecchia scarpa con la suola talmente logora da non poter più essere “recuperata”. Al suo posto mettevano una specie di zoccolo di legno abbastanza alto dove veniva sistemata, con chiodi adatti, una vecchia tomaia.



Un gentile contributo di Mariella della UILDM Sondrio: memorie raccolte dei suoi genitori